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MYANMAR TRAVEL DIARY #2 – AMARAPURA E INWA

MYANMAR TRAVEL DIARY #2 – AMARAPURA E INWA

Secondo giorno in Birmania e siamo già di nuovo su un aereo. L’esperienza in aeroporto è al limite del surreale: non ti controllano neppure il passaporto, non si capisce bene se rivedrai mai più la tua valigia e per identificarti e farti salire sul volo giusto (ci sono solo 2 gate) ti attaccano un adesivo alla maglietta. Vi dico solo che il mio era un aereoplano a forma di cane…

AMARAPURA

Comunque, il nostro Yangoon – Mandalay è puntuale. Nemmeno il tempo di atterrare ed eccoci ad Amarapura, penultima capitale del Regno Birmano il cui nome significa ”Città dell’immortalita”. Si estende nei sobborghi di Mandalay, sulle rive di un lago nato, secondo la leggenda, quando un orco e’ arrivato qui in cerca del Budda. Il lago è uno specchio e io come era prevedibile mi sono innamorata subito delle barchette colorate. Qui l’attrazione principale è l’U-BEIN BRIDGE, il ponte pedonale in teak più lungo del mondo, circa 1200 metri. È percorso ogni mattina dai monaci che si recano al vicino Monastero, poi si riempie di turisti ma conserva comunque un grande fascino, anche se bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi perchè non è recintato! Se ve lo state chiedendo, no, almeno qui non sono caduta, ho già provveduto il primo giorno a Yangoon… (rompendo anche lo zoom della macchina foto, per cui mi scuso come sempre per le foto sgranate)

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Dopo l’attraversamento del ponte visitiamo il Monastero Mahagandayon e scopriamo con un sorriso che… anche i monaci birmani fanno cose molto molto terrene, tipo tagliarsi le unghie dei piedi in mezzo al cortile! Al Monastero di Amarapura entri per sbirciare la loro vita quotidiana ma la cosa più bella e’ che loro non vedono l’ora di abbattere il confine invisibile e chiacchierare con te in un inglese più o meno personalizzato: storie di vocazioni di ragazzi che hanno scelto una strada precisa anche se non sempre semplice, storie di sogni e di desideri. Uno di loro ci ha raccontato che sogna di venire fino a Barcellona, di cui ha sentito parlare da turisti spagnoli, a piedi. E io ho pensato che sarei stata ore ad ascoltare i racconti di questi ragazzi che hanno vite così diverse dalla tua ma poi tirano fuori lo smartphone da sotto le pieghe della veste e ti chiedono di fare una foto ricordo insieme. Proprio come un qualunque altro ragazzo, ovunque nel mondo, che vuole solo un ricordo di un momento perfetto.

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INWA

Da Amarapura in pochi minuti ci spostiamo a Inwa: un tratto in pulmino, uno in barca e via sul calesse ad esplorare l’isola. Questo è praticamente l’unico mezzo possibile per attraversare le strade di fango e andare alla scoperta delle bellissime pagode disseminate in questo paradiso naturale. Appena arrivati sull’isola troverete un assembramento di “cocchieri” (anche di 6/7 anni ahimè) che dormono sul proprio calessino o provano a convincervi a scegliere il loro. Unica regola: contrattate duro. Questo è forse l’unico posto della Birmania in cui li ho visti proprio approfittarsene alla grande e non trattarti neppure benissimo. Il luogo comunque è davvero suggestivo, anche se sono le ore più calde e le piante dei piedi bruciano non poco a contatto con il legno e la pietra scaldate dal torrido sole birmano.

Due dritte: per le Pagode fate il biglietto cumulativo con le altre attrazioni di Mandalay, per noi sono pochi spiccioli e eviterete di fare code in seguito. Inoltre, per il pranzo, consigliatissimo il localino sul molo: un tavolo sotto le piante, zero wifi, la vista sul fiume e una birra ghiacciata. Serve altro?

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TRAMONTO AD AMARAPURA E SAGAING

Di solito dopo Inwa si torna verso Mandalay, e qui ci sono ancora due tappe d’obbligo.

  • la collina di Sagaing, interamente punteggiata di pagode buddiste colorate nascoste in mezzo alla vegetazione e – di notte – illuminate peggio degli hotel di Las Vegas!
  • il tramonto sul ponte di tek di Amarapura, davvero suggestivo anche se parecchio turistico. Consiglio: noleggiate una barchetta e godetevelo via dalla pazza folla!

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